sabato 12 marzo 2011

INTELLIGENZA COLLETTIVA

ANNE OTTO psicologia contemporanea n.224 mar – apr 2011


IL GENIO SINGOLO PUÒ ESSERE AFFASCINANTE, MA IL GRUPPO È SPESSO PIÙ SCALTRO DEL MIGLIOR ESPERTO. PER POTER FUNZIONARE IN MANIERA OTTIMALE, PERÒ, L’INTELLIGENZA COLLETTIVA HA BISOGNO DEL CONTESTO GIUSTO.


Un gruppo di lavoro in cui tutti si imbeccano a vicenda, un complesso jazz dove ogni musicista suona la cosa giusta, apparentemente senza bisogno di accordi preliminari, un panel congressuale che produce un gran numero di idee. Ogni volta che si mette al lavoro l'intelligenza collettiva, si hanno risultati sorprendenti. Sia i partecipanti che gli osservatori esterni sentono che l'insieme è maggiore della somma delle parti. Quando opera la "saggezza dei molti", il gruppo sembra diventare un organismo autonomo, che sviluppa processi di pensiero tutti suoi. Ma per ottenere questo tipo d'intelli¬genza collettiva non sempre sono indispensabili i grandi numeri: per far scattare la scintilla basta a volte far lavorare insieme alla soluzione d'un problema due persone che non si conoscono. Dan Schwartz, professore di Pedagogia alla Stanford University, ha sottoposto i suoi studenti a difficili problemi dì intelligenza spaziale, come indovinare il senso di rotazione degli ingranaggi in un meccanismo complesso. Da soli, i soggetti raramente riuscivano a trovare la soluzione giusta. Lavorandoci insieme, in due o più, non solo davano la risposta esatta, ma arrivavano a capire meglio il principio di funzionamen¬to del meccanismo in questione. Quando un problema complesso viene considerato da più lati, grazie alla collaborazione di vari cervelli, è più facile scoprire le regole su cui si fonda.

Quanto alla dimensione del gruppo, non ci sono limiti: possono andar bene anche duemila partecipanti, se si tratta di individuare i modelli e i principi generali che stanno alla base di un problema complesso. Spiega Peter Kruse, docente di Psicologia generale e delle organizzazioni all'Università di Brema: "Analizzando le idee espresse da un grande gruppo, ad esempio i contributi di tutti i collaboratori di un' organizzazione, emerge rapidamente uno schema di fondo". Come esempio cita il laboratorio progettuale condotto dalla sua équipe per delineare il futuro di Brema. Un campione di 120 residenti fu incaricato di elaborare idee in risposta alla domanda su quali fossero i "fattori di successo" e quali gli ostacoli allo sviluppo della città. Gruppi di lavoro di 4 o 5 membri mettevano in rete le loro idee. La proposta collettiva risultò essere quella di Brema come città degli studi, mentre gli ostacoli venivano sistematicamente indicati nella chiusura e nello scarso coraggio della città anseatica.

SE E’ IN GIOCO IL PENSIERO DIVERGENTE I GRANDI GRUPPI HANNO SPESSO UN BUON SUCCESSO


"Attraverso l'intel¬ligenza della massa, in questo caso si sono delineati chiaramente alcuni principi generali di cui forse all'inizio i singoli partecipanti non si rendevano conto", spiega Kruse. I grandi gruppi, per così dire, conoscono la verità circa il sistema nel quale si muovono.

Naturalmente i gruppi molto numerosi non sono validi per qualunque tipo di compito. Se è in gioco il pensiero divergente, cioè la produzione di idee e ragionamenti trasversali, com'è richiesto da problemi che non prevedano una soluzione univoca, i grandi gruppi hanno spesso un buon successo. Se si tratta di sviluppare idee creative per l'utilizzo di una sala comunale o delle possibilità di aumentare il fatturato di un'impresa, la "saggezza della massa" di solito è in grado di generare molte idee e soluzioni. Anche quando, in un secondo momento, si devono scegliere fra tutte quelle proposte le soluzioni migliori, un gruppo numeroso fa la differenza. Tutt'altro è il caso dei problemi in cui esiste una sola risposta esatta: i calcoli complessi, la progettazione di un circuito elettrico, la decifrazione di un enigma esigono il pensiero convergente, focalizzato su un'unica soluzione.Benché anche in questo caso un gruppo possa fornire buone prestazioni, il risultato migliore si ottiene rivolgendosi agli esperti del ramo.

D'altro canto la ricerca sull'intelligenza collettiva ha ripetutamente dimostrato che la massa è imbattibile in un tipo particolare di compiti tipicamente "convergenti": la previsione di eventi futuri, come l'esito di un'elezione, lo sviluppo dell'economia, il risultato di una partita di calcio. In questi casi il risultato è univoco, ma nessuno lo conosce, essendo collocato nel futuro. L'economista Caroline Rudzinski, del Centro di management di Witten, nella Ruhr, nell'ambito di un suo progetto di ricerca ha creato in Internet una "borsa delle opinioni", in cui i partecipanti possono puntare su vari sviluppi futuri. Il sistema funziona come un mercato azionario virtuale: gli iscritti possono avanzare predizioni su eventi come i risultati delle elezioni o il tasso di disoccupazione nel trimestre successivo. Nelle elezioni politiche del 2009 la "saggezza di massa" così intercettata dall'équipe di Rudzinski ha dato previsioni più attendibili della maggior parte degli istituti demoscopici: con uno scostamento medio di appena il 5% dai risultati reali, si collocava al terzo posto nella classifica dell'esattezza dei pronostici. Per avere un termine di raffronto, i sondaggi peggiori presentavano un errore medio del 12%. «I mercati sono in linea di principio stupidi, ma possono essere usati in maniera intelligente», nota Fritz B. Simon, professore di Psicologia delle organizzazioni all'Università di Witten e supervisore del progetto. Ma perché la cosa funziona? Perché i mercati virtuali «permettono di utilizzare un sapere diffuso di cui in partenza non conosciamo la dislocazione», spiega Simon.

La "saggezza della massa" è così attendibile nelle previsioni che le borse virtuali le opinioni sono ormai riconosciute negli Stati Uniti come uno dei normali strumenti di sondaggio preelettorale. Questo aspetto dell'intelligenza collettiva è confermato anche dall'efficacia del ricorso all'aiuto del pubblico da parte dei concorrenti in difficoltà nei quiz a premio come Who Wants to Be a Millionaire? In tutte le versioni del programma (inglese, americana, tedesca, ecc.), le risposte così ottenute sono di solito migliori di quelle che il concorrente riceve telefonando a una sola persona di fiducia.

Che in questi casi la massa riesca così bene a cogliere nel segno dipende anche dal setting, che crea le condizioni preliminari nelle quali il gruppo può dare risposte intelligenti. James Surowiecki, autore di un best seller sull'argomento, così riassume i fattori di successo: indipendenza delle singole opinioni, parità fra tutti i membri del gruppo, composizione eterogenea. Sono esattamente le condizioni rispettate nei mercati virtuali delle previsioni: nessuno dei partecipanti influenza gli altri. non esistono gerarchie o dinamiche di gruppo disturbanti e le persone che intervengono provengono dagli ambienti sociali e professionali più diversi.

Ora, ciò che vale per i mercati virtuali in Internet o per le ricerche scientifiche è speso difficile da realizzare nella vita quotidiana. Chiunque abbia partecipato a un convegno dove tutti partecipanti si parlano addosso a che non basta affatto mettere insieme dieci persone intelligenti per avere un gruppo intelligente. Al contrario, i gruppi sono molto esposti a disturbi di ogni genere: “E’ sempre un'impresa creare una dinamica dì gruppo che sia di sostegno e non di ostacolo al processo produttivo», conclude Kruse. Gli studi sull'efficienza dei gruppi, come l'analisi di 60 gruppi di lavoro condotta da Michael A. Campion, professore di Management alla Purdue University, dimostrano che, oltre alla disponibilità al lavoro di squadra e alla condivisione di certi valori comuni, quello che conta è soprattutto che collaborino persone molto diverse, con ruoli distinti e un background etnico, sociale e professionale eterogeneo.

Un esperimento condotto al'Università del Michigan da Scott Page, studioso dei sistemi complessi, ha dimostrato come, di fronte a un compito di soluzione di problemi, un gruppo formato solo da persone di intelligenza superiore alla media riuscisse peggio di uno in cui menti molto brillanti erano abbinate a individui del tutto ordinari. Allo stesso modo, da un recente studio di un'équipe tedesco coreana (Kearney, Gebert e Voelpel, 2009), risulta che in certe condizioni una squadra formata da persone di età o di formazione diversa è più produttiva dì un gruppo omogeneo, inoltre, la coesione è maggiore. Lo studio, molto ampio, condotto su un totale dì 83 gruppi di lavoro operanti in vari settori (informatica, assicurazioni, media e spettacolo), mostra che i gruppi eterogenei funzionano meglio di quelli omogenei se i partecipanti si avventurano volentieri su un terreno intellettualmente vergine e operano in un ambito che propone compiti impegnativi. Se invece i membri non gradiscono le sfide intellettuali, una squadra mista non funziona al meglio. In termini generali si può dire: se c'è da inventare idee e far fronte a un impegno complesso, conviene rivolgersi a un gruppo formato da persone anche molto diverse, che non abbiano paura di pensare cose nuove e complicate e che alla fine sapranno trovare la risposta.

IN CERTI COMPITI L'INTELLIGENZA DIFFUSA DEI MOLTI È MIGLIORE DI QUELLA DEGLI ESPERTI. PER QUESTO NEI QUIZ TELEVISIVI L'AIUTO DEL PUBBLICO È IL PIÙ EFFICACE

Ma se è così chiaro che i grandi gruppi eterogenei sono più intelligenti di quelli piccoli e omogenei, è sorprendente che nelle organizzazioni pubbliche e private sì continui quasi sempre a lavorare con piccole squadre di esperti, nelle quali sì incontrano persone che hanno più o meno tutte la stessa formazione e lo stesso tipo di competenza specialistica. Se poi questi esperti si trovano a dover lavorare sotto pressione e in isolamento, si arriva facilmente a decisioni vistosamente sbagliate. Già negli anni '70 uno studioso di psicologia sociale come Irving Janis dimostrò che questo tipo di lavoro d'équipe non fa che rinforzare nei partecipanti un modello di pensiero uniforme, che sfocia in una visione molto ristretta, a cannocchiale. Sappiamo che il fenomeno del "pensiero di gruppo", come lo chiama Janis, è responsabile di errori di strategia militare, come l'attacco americano a Cuba. La difficoltà di aprire ai contributi esterni questi circoli consolidati di esperti dipende soprattutto dalla struttura gerarchica delle aziende e delle organizzazioni in genere: «Se l'impresa si apre all'intelligenza collettiva, può succedere che per qualche tempo una rete di gruppo orizzontale prenda il sopravvento sulla leadership verticale nei processi decisionali», nota Kruse sulla base della sua esperienza con i grandi gruppi. Su questo punto molte imprese devono ancora imparare per prima cosa a fidarsi del processo sistemico, invece di attenersi alla vecchia struttura gerarchica di potere.

LA SAGGEZZA COLLETTIVA DEVE ESSERE INTERCETTATA CON I METODI GIUSTI

Naturalmente, un grande gruppo incaricato di risolvere un problema, raccogliere idee e discutere le prospettive future di un'impresa non può operare senza guida. Nella maggior parte dei casi è necessario l'intervento di leader e moderatori competenti. C'è poi un altro fattore importante: per sfruttare con successo le risorse dell'intelligenza collettiva, i metodi esistenti si devono impiegare con la massima precisione possibile. Keith Sawyer, della Washington University di St. Louis, lo illustra chiaramente con l'esempio del brainstorming. A suo avviso questo metodo, adattissimo alla ricerca collettiva di idee nuove, è caduto in grave discredito perché spesso viene applicato in maniera errata. Analizzando la letteratura scientifica sull'argomento, Sawyer conclude che per essere efficace una seduta di brainstorming dovrebbe sempre iniziare con una fase silenziosa di almeno cinque minuti, durante i quali ogni partecipante scrive le idee che gli passano per la testa. Con questa tecnica, detta "brainwriting", si evitano vari processi di gruppo indesiderati che si verificano nel brainstorming tradizionale: se tutti parlano insieme, si forma troppo presto un'opinione di gruppo che è modellata non dal membro più intelligente, ma dal più loquace. Se invece ognuno raccoglie prima le idee per conto proprio e, solo in un secondo momento, queste vengono condivise e discusse, anche le proposte dei più timidi avranno qualche probabilità. Secondo Sawyer, soltanto in questo modo si riesce a intercettare davvero l'intelligenza collettiva presente nel gruppo.

Anche nella maggior parte dei metodi in uso con i grandi gruppi si tiene conto in qualche modo della nozione ormai acquisita che fissare le idee sulla carta impedisce che si sviluppino certe dinamiche di gruppo negative. Nel cosiddetto "World Café", ad esempio, fino a mille partecipanti si raccolgono in piccoli gruppi intorno a tavolini da bistrot distribuiti in un ampio spazio comune e scrivono le loro proposte sulle tovaglie di carta. Allo stesso modo nel metodo "Open Space" si formano piccoli gruppi di lavoro, in cui ciascuno dei partecipanti si accosta al tema proposto munito di lavagne a fogli mobili. Entrambe le tecniche sono adatte soprattutto alla generazione di idee e alla soluzione di problemi. D'altra parte tutti i metodi di gruppo, nati per lo più nell'ambito del counseling sistemico, hanno aperto la strada all'utilizzo dell'intelligenza di gruppo. E da molto tempo che in questa ottica i consulenti cercano di coinvolgere l'intero sistema, in modo che prendano la parola possibilmente tutti gli interessati, ad esempio tutti i collaboratori di un'impresa, così da sviluppare un'organizzazione più lungimirante e di ampie vedute. Oggi i metodi messi a punto da pionieri del settore, come Harrison Owen e Marvin Weisbrod, fanno parte integrante del repertorio di molti consulenti aziendali.

Naturalmente è paradossale che per far funzionare i processi dell'intelligenza collettiva sia spesso necessaria la presenza in sede di un'intera équipe di esperti e consulenti.

Cosa succede a lasciar procedere in modo autonomo un sistema potenzialmente intelligente, peraltro, lo si vede oggi in Internet. Per molti esperti la rete è da tempo un esempio impressionante di intelligenza collettiva in funzione: fra gli altri Barry Libert, autorevole consulente americano di organizzazione aziendale, ritrova in essa continue conferme di tale "saggezza di massa".

C'è, per cominciare, Wikipedia, l'enciclopedia collettiva cui migliaia di liberi collaboratori indipendenti conferiscono pezzi del patrimonio universale del sapere. Un altro esempio riuscito è rappresentato dai progetti Open Source, come il sistema operativo Li¬nux, che può essere utilizzato gratuitamente e viene gestito e perfezionato regolarmente da una comunità di informatici appassionati. Tuttavia in molte altre piattaforme il flusso d'informazioni generato da milioni di internauti crea grossi problemi: “Al momento manca in Internet una buona funzione valutativa”, nota Kruse. La rete attualmente è in grado di misurare soprattutto le quantità: i motori di ricerca indirizzano l'utente ai siti cliccati più spesso. In queste condizioni è un po' difficile parlare di intelligenza collettiva.

C'è però una cosa che si impara dalla rete: “Il libero accesso all'informazione in Internet è uno dei principi che andrebbero trasferiti alle organizzazioni, ai gruppi di lavoro e alle imprese”, afferma Kruse. Anche l'economista Sven Voelpel della Jacobs Uni¬versity di Brema sostiene che la paura di divulgare informazioni importanti, dettata da un modello di pensiero competitivo, sia destinata ad allentarsi sempre di più. In ogni caso, secondo Voelpel, non bisogna rammaricarsi di aver trasmesso il proprio sapere. Nei suoi lavori sulla gestione del sapere ha accertato ripetutamente che la maggior parte delle persone diffonde volentieri in un'impresa il proprio parere specialistico: “Per di più, nel corso delle mie ricerche mi sono convinto che la comunicazione di idee e saperi giovi piuttosto alla carriera”, dice Voelpel, che così spiega il fenomeno: “Se mi dai una caramella e io te ne do un'altra, abbiamo una caramella per uno. Se mi dai un'idea e io te ne do una, ne abbiamo due ciascuno”. Il sapere, quindi, è l'unica cosa che si moltiplica quando viene diviso.

Riferimenti bibliografici

KEARNEY E., GEBERT D., VOELPEL S. C. (2009),
When and how diversity benefits teams: The importance of team members' need for cognition, Academy of Management Journal, 52/3, 581 597.

KRIZ W. C., NOBAUER B. (2002), Teamkompetenz. Konzepte, Trainingsmethoden, Vandenhoeck & Ruprecht, Praxis.

LIBERT B., SPECTOR J. (2008), Vide wissen mehr als einer. So nutzen Unternehmen das Know how der Business Communitys, Redline Wirtschaft, Munchen.

PAGE S. E. (2007), The difference. How the power of diversity creates better groups, firms, schools, and societies, University Press, Princeton.

SAWYER K. (2007), Group genius. The crea¬tive power of collaboration, Basic Books, Cambridge.

SELINGER R. (2008), Einfuhrung in Gro¬ssgruppenmethoden, Carl Auer Systeme, Heidelberg.

SUROWIECKI J. (2007), Die Weisheit der Vielen. Warum Gruppen kluger sind als Einzelne, Goldmann, München.

© PSYCHOLOGIE HEUTE, GIUGNO, 2010, pp. 34 39; TRADUZIONE ITALIANA DI GABRIELE NOFERI.

giovedì 3 marzo 2011

Spesso mi sento domandare:

Come facciamo a rafforzare l'impegno del top management e il coinvolgimento per l'attuazione del Total Productive Maintenance (TPM)?
Questa è una grande questione generale di chiedere qualsiasi sforzo per stabilire l'eccellenza, mantenere l'eccellenza o di trasformare l'eccellenza di un livello ancora più alto. Specificamente per il TPM, ci aspettiamo un elevato livello di impegno totale ad essere costruito in istruzione e roll out del programma, poiché, come suggerisce il nome è Total PM. Quindi il punto di partenza può essere quello di esaminare in che misura la fase di istruzione spiega i ruoli di gestione in supporto al TPM.

Anche ammettendo questa formazione è stata fatta in maniera adeguata, l'apprendimento dei loro ruoli di gestione TPM a impegnarsi pienamente possono ancora essere intellettuali, piuttosto che cinestesico.
Naturalmente il TPM può essere ampliato al di là di fabbriche e macchine per ufficio TPM include la distribuzione dei costi e tutti gli aspetti della gestione di un business, che è un altro aspetto della voce "totale". Operazioni di produzione a seconda macchine e attrezzature per aggiungere valore. Operazioni non di produzione sono altri beni e servizi.

La prima cosa da fare è avere le mani sporche. Non c'è un modo migliore per migliorare l'impegno complessivo di gestione che sporcarsi. Bisogna sporcarsi, al fine di ottenere pulito. Questo può sembrare un po 'zen, ma in pratica la pulizia, l'ispezione,la riparazione e il restauro di attrezzature e processi per lavorare in buone condizioni è l'attività fondamentale del TPM. Pulizia non è il lavoro di manutenzione. Non è il lavoro degli operatori. il kaizen non è il lavoro degli ingegneri, è 'il lavoro di qualcuno che capisce quello che il T in TPM rappresenta. Pulizia e cura dei beni crea intimità, la familiarità, un senso di responsabilità che è essenziale per il miglioramento continuo.

"Perché prima della partenza si vuole passare attraverso il coinvolgimento dei dirigenti per la pulizia?". Perché non andare nella direzione opposta e coinvolgere i lavoratori in prima linea nel lavoro del manager? Se l'obiettivo è il coinvolgimento totale e la messa insieme di persone provenienti da diversi livelli per l'organizzazione a lavorare verso un obiettivo comune, non sarebbe più facile per tutti noi di incontrarci in comode poltrone della suite executive a guardare i grafici, piuttosto che nella sporcizia calore e il rumore del reparto?

In una trasformazione lean una parte significativa del cambiamento è quello di dare ai lavoratori in prima linea e dei capigruppo la possibilità di prendere decisioni sulla gestione e migliorare i propri processi su una base quotidiana. Questo richiede migliorare le competenze, consapevolezza e conoscenza dei lavoratori e coinvolge alcuni lavori con le carte, sale conferenze e presentazioni. Quando responsabilità e leadership vengono spinti al fronte, dove si può intervenire alla base delle informazioni in diretta, l'apprendimento e l'insegnamento è fatto meglio e raggiunge ottimi risultati.

Perché questo impegno di prima linea nella gestione quotidiana e del miglioramento diventi un arricchimento del lavoro piuttosto che l'intensificazione del lavoro, il ruolo del leader deve cambiare. Si tratta di definire la responsabilità del leader di andare al fronte, al fine di sperimentare la realtà giorno per giorno in modo che si possano sostenere gli sforzi di gestione quotidiana. Il modo migliore per aumentare il livello di impegno è quello di imparare attraverso l'esperienza di prima mano i problemi esistenti in prima linea. Molti di loro sono facilmente risolti una volta che le persone sono in grado di avere una comprensione comune della situazione. Nel TPM molti dei problemi sono legati alle macchine sporche e mal tenute.
Migliorare la gestione totale richiede impegno in modo da poter esporre i problemi, eliminando partendo dalla base, la sporcizia. Questo sporco può anche uscire a livello figurativo, nascondendo i segni di deterioramento forzato all'interno dei sistemi immateriali dell'organizzazione e dei processi.

Nel TPM, una questione utile per testare l'impegno totale di gestione può essere "Quante volte ti lavi le mani oggi?"

lunedì 28 febbraio 2011

Da Lean Edge: Caso Toyota

Questa settimana la domanda su The Lean Edge è la seguente:

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha liberato Toyota da tutte le accuse sulla sicurezza oltre a quelle identificate e gestite prima della crisi della sicurezza. Ma Toyota ha, nonostante tutto, riconosciuto difficoltà interne sia nel crescere troppo velocemente e nel non ascoltare abbastanza i clienti. Che cosa dovremmo imparare da questo intero episodio?

Se non l’avete già sentito prima, la Toyota è stata prosciolta, dopo 10 mesi di profonde ricerche e un sacco di soldi spesi, da tutte le accuse per i problemi sulla sicurezza dei propri veicoli, di cui avevo parlato anch’io su queste pagine.

Cosa dobbiamo imparare?

Penso che non impariamo niente di nuovo riguardo a Toyota. Ha agito esattamente come potevamo aspettarci. Ha utilizzato questa crisi per:

* migliorare ulteriormente le operazioni interne sfruttando la crisi come incentivo
* far tornare tutti sulla stessa linea d’onda e allinearli tutti verso la sua visione
* ridefinire le sue priorità e processi
* migliorare ulteriormente la sua capacità di problem solving e gestione delle crisi.

Quello che è sicuro è che la Toyota da questa crisi, come anche da tutte le grosse crisi che ha avuto in passato, uscira ancora più forte di prima. E’ tornata alle origini, si è autoinvestigata e ha scoperto molti problemi, soprattutto nella comunicazione interna e verso i clienti, che adesso sono stati affrontati, gestiti e sistemati. Ha perso a breve termine, ma ci ha guadagnato, e anche molto, a lungo termine…

Nessuna sorpresa dunque.

Invece chi ci ha perso sicuramente sono tutti coloro che hanno attaccato la Toyota in quanto era diventata troppo forte. I problemi che hanno causato le falle nella sicurezza erano dovuti a molteplici cause al di fuori della Toyota e soprattutto dovuti al utilizzo errato o manutenzione mancata dei veicoli da parte degli utenti. E quando sono venuti a luce alcuni casi, sulla Toyota è stata rovesciata una valanga di attacchi, insulti ecc. Ma adesso tutti questi che l’hanno attaccata non si sentono più… Fino alla prossima saga con qualche nuovo problema, magari di qualche altra casa automobilistica. I media sono terribili per questo, e questa situazione è stata puramente mediatica. Bisognava sconfiggere il gigante dell’oriente.

Ma non hanno pensato alla storia di questa società e alla sua cultura. E la storia parla chiaro: le crisi a breve termine la fa solo migliorare di più. E questo fatto è sicuramente un bene per il lean thinking, per l’industria automobilistica e per gli utenti, che possono capire la filosofia e cultura della Toyota e applicarla anche nelle proprie aziende.

E’ un male invece per i suoi oppositori che la volevano giù e adesso dovranno affrontarla ancora più forte di prima…

Articolo tratto da ENCOB BLOG

domenica 27 febbraio 2011

Kamishibai, in cosa consiste e da dove proviene

Per puro caso mi sono imbattuto in un libro in mostra presso la biblioteca comunale intitolata Manga Kamishibai: L'arte della carta giapponese. Si tratta di una storia della forma artistica teatrale della carta dal 1930 ai tempi moderni. Il sistema di gestione per attività di controllo visivo standard all'interno del Toyota Production System prende il nome dal Kamishibai stesso. Per coloro che non hanno familiarità con questo strumento di gestione snella posso consigliare la lettura “Che cosa è un Kamishibai?” One point lesson = Kamishibai.

Gli stili e gli oggetti di Kamishibai sono abbastanza vari e anche includono gli annunci di notizie, come la II Guerra Mondiale, l’annuncio dell’occupazione americana o della nuova costituzione del Giappone

Il Kamishibai è ancora uno strumento attivo per l'educazione della prima infanzia.
Ci sono sempre meno persone che vivono la creazione o l'esecuzione di Kamishibai in Giappone. Nel libro Manga Kamishibai l'autore cita un peformer Kamishibai che ha incontrato nel 1980, il signor Morishita:

"Kamishibai sono una strada a doppio senso, in contrapposizione alla televisione, che è una forma a senso unico di comunicazione. Inoltre, Kamishibai sono una fonte di insegnamento morale ... Oggi la televisione non ha alcun rilievo morale ... ed è qualcosa che il i bambini hanno bisogno.

Nel Lean Management system Kamishibai facilita anche la comunicazione bidirezionale tra le persone che fanno il lavoro e il leader che controlla che gli standard siano mantenuti. Come un modo per rafforzare l'eliminazione degli sprechi e il rispetto per le persone, forse possiamo dire che esso serve anche come una forma di lavoro teaching.Standard work, gestione quotidiana, camminata nel Gemba con 5 perché, dialoghi per l'insegnamento e la soluzione dei problemi sono tutti elementi che rendono il sistema Kamishibai di successo nelle trasformazioni rendendole più sostenibili. Alla fine il pensiero è ancora parlare di gente e fare la cosa giusta: la morale e l'etica. Dopo più di 80 anni l'uomo umile Kamishibai ha ancora qualcosa da insegnarci.

Citazione

"Più l'uomo avanza nella sua evoluzione spirituale, più mi appare certo che il sentiero verso una religiosità genuina non passa per la paura della vita e la paura della morte, o per una fede cieca, ma attraverso gli sforzi compiuti in direzione di una conoscenza razionale."

domenica 20 febbraio 2011

LA CREATIVITA’ IN AZIENDA AI GIORNI NOSTRI

DAL CAOS ALL’ECCELLENZA

Il successo ha una durata effimera ed il caos è all’angolo, pronto a subentrare a ciò che spesso viene chiamato vittoria. Accelerazione del cambiamento e complessità costituiscono una sfida per le organizzazioni che perseguono l’eccellenza come principio di sviluppo.

ACCELERAZIONE DEL CAMBIAMENTO E COMPLESSITA’

Tom Peters è un riferimento grazie alle opere scritte con R. Waterman Alla ricerca dell’eccellenza, cui ha fatto seguire un secondo volume intitolato La passione dell’eccellenza.
Queste opere illustrano un certo numero d’idee chiave sulla direzione, basate essenzialmente sul buon senso, confortate da una serie d’esempi molto precisi, riferiti ad aziende che hanno avuto successo.
Una ricerca successiva, dopo tre anni, verificò che più di un terzo di esse erano fallite. Questa scoperta permise di comprendere che l’eccellenza da sola non bastava. E’ necessario che le aziende, i dirigenti e il personale siano capaci di mettere in atto delle caratteristiche di flessibilità, d’adattabilità, d’opportunismo e di creatività che permettano loro di cavalcare il caos.

La parola caos può sembrare eccessiva, ma è stata scelta di proposito per il suo significato etimologico di aprirsi, spalancarsi.

La parola ricorda l’idea primordiale dello stato che precede la biblica creazione del mondo, e pone l’accento due tendenze su cui tanti osservatori sembrano d’accordo:
a) l’accelerazione del cambiamento e
b) la complessità.

• Anzitutto l’accelerazione del cambiamento. Questo cam-biamento si manifesta tanto all’interno degli Stati, nella società, nella famiglia, nelle organizzazioni, quanto a livello internazionale. Si è parlato a sufficienza della globalizzazione dell’economia, e oggi è un fenomeno irreversibile.
Si è passati da un mondo bipolare ad uno almeno tetrapolare, dove il terzo polo è il Giappone ed il quarto l’Europa unita. S’intravedono, però, degli altri poli d’influenza con cui bisognerà collaborare, la Corea, l’India, la Cina e forse, domani, il Brasile.

• la seconda tendenza riguarda la complessità. Il mondo non è né più semplice né più complicato di quanto non lo fosse un secolo fa.
E’ nuova la presa di coscienza di questa complessità e la necessità di farvi fronte, in una realtà in cui tutto è in relazione con tutto.
Ricercare soluzioni semplici ad ogni problema è oggi un’illusione auspicabile. Comprendere e vivere lo spirito del sistema è una necessità assoluta per la sopravvivenza.


L’azienda può essere considerata oggi come un luogo permanente di risoluzione di problemi pluri-disciplinari (marketing, finanza, tecnologia, umani, sociali...).

Ecco una serie d’atteggiamenti che permettono d’affrontare il caso e di trarne profitto:

• accettare d’uscire dalla propria torre d’avorio;
• essere pronti a adattarsi al cambiamento;
• essere flessibili, avere accesso a più linguaggi;
• sapersi assumere dei rischi;
• dar fiducia alle proprie idee e a quelle degli altri;
• saper tradurre le esperienze negative in opportunità;
• praticare il diritto all’errore;
• accettare il gioco della trasparenza e delle porte aperte;
• praticare il gioco di squadra.

L’ECCELLENZA: UN SUPERAMENTO CONTINUO

L’eccellenza è una qualità che si è trasformata in principio di management. E’ necessaria per superare le barriere delle conoscenze specialistiche e l’apertura delle frontiere, poiché per definizione l’eccellenza è relativa, non si può mai raggiungere. Ciò che può sembrare eccellente oggi, in un dato contesto, lo è assai meno in una situazione vicino ed in un futuro prossimo o lontano.
La sua forza e la sua debolezza non sono altro che la necessità di un continuo migliorarsi “ Oggi meglio di ieri, domani meglio di oggi”.
L’eccellenza imposta dall’alto è vissuta come una critica delle mediocrità ed una volontà di colpevolizzare per ottenere un maggior impegno dei collaboratori. L’eccellenza riscoperta da ciascuno e vissuta a tutti i livelli diventa invece il mezzo per infondere in ciascuno uno spirito d’impresa, per trasformare ogni lavoratore in un imprenditore.
Nuovo è ciò che non conosciamo, che non c’era prima, che è cambiato. Ha espresso bene questo concetto Eraclito
Non ti bagnerai mai due volte nella stessa acqua di un fiume, vi è una sola cosa che non cambia, il cambiamento

perché tutto cambia continuamente, noi stessi, in due momenti diversi, non siamo più la stessa persona. La stessa cosa, in due momenti diversi, non è più identica.


LA NOZIONE DEL NUOVO

Il nuovo è prodotto continuamente da quel che ci circonda e da noi stessi.
In altre parole, nuovo è diventato un tema alla moda dal momento in cui la società e la situazione di concorrenza hanno stimolato tra gli imprenditori l’idea di presentarsi sul mercato con proposte originali e, per merito di una novità, ai bisogni del mercato.
Cosa è nuovo per l’individuo?
È qualcosa di differente. Gordon e Prince, gli inventori della sinettica affermano che il nostro atteggiamento naturale verso le novità è di guardarle come se ci fossero familiari, ricollegandole a cose che già conosciamo. Suggeriscono quindi di guardare le cose che ci sono familiari come se ci fossero del tutto nuove.
Quel che percepiamo come nuovo è quindi ciò che presenta uno o più gradi di differenza in rapporto a qualcosa che conosciamo già. Possiamo reagire alla novità con l’indifferenza, l’accettazione o il rifiuto. Possiamo viverla deliberatamente perché ci piace, subirla perché c’è imposta dall’ambiente, o anche semplicemente perché vi siamo obbligati dalla direzione dell’azienda in cui lavoriamo.

NOVITA' E RESISTENZA AL CAMBIAMENTO

Parliamo ora della nozione di resistenza al cambiamento, che è un ostacolo reale in cui s’imbatte ogni manager o responsabile.
Un altro modo di vivere il cambiamento è di crearlo, d’inventarlo, ed è proprio dell’atteggiamento creativo confrontarsi con l’esistente. Per definizione il creativo è molto attento alle novità. I suoi sensi sono allenati a percepire tutto, quindi a cogliere meglio il cambiamento e la differenza.

Le novità che inventiamo noi, le vogliamo condividere. Questa è la funzione degli innovatori, sia si tratti di generalisti (imprenditori, direttori generali, dirigenti marketing, di-rigenti risorse umane ecc.) per i quali la gestione del cambiamento è uno dei compiti, o di specialisti, per i quali l’innovazione è la principale se non unica missione. In tutti i casi queste persone dovranno stimolare, perché l’innovazione non può essere imposta. Un cambiamento imposto è destinato all’insuccesso, se non immediato, certamente a termine. Infatti, si produrranno in loro dei meccanismi di auto-sabotaggio che fa-ranno sì che la sua applicazione sia deludente.

STIMOLARE PER AIUTARE AL CAMBIAMENTO

Si può stimolare in diversi modi. Ad esempio, far paragoni, anche semplicemente la presentazione di certi risultati di gestione in confronto con ciò che era stato fatto nel passato e ciò che si sperava di fare. Può essere semplicemente un avvenimento disastroso. In ogni caso, l’innovatore dovrà prestare attenzione a che questa stimolazione non sia vissuta negativamente, dovrà fare in modo che gli effetti positivi superino largamente quelli negativi, perché se l’atteggiamento ottenuto è quello del fatalismo o della disperazione, sarà stato un fallimento. Si tratta qui di provocare un sentimento di rivolta contro l’avvenimento ed un desiderio d’affrontarlo, per superarlo.
Un altro modo di stimolare è l’incoraggiamento. L’incoraggiamento deve manifestarsi tanto dalla Direzione generale, quanto in termini d’un aiuto reale e concreto.
Un altro modo ancora è d’invogliare. Una comunicazione ben studiata può esaltare per la sua novità, può risvegliare la curiosità, i desideri e portare le persone ad accettare il cambiamento.

Un atteggiamento creativo unito a tecniche di creatività nel quotidiano sono essenziali per l’innovazione tecnica.
Queste misure saranno stimolo e sostegno di-retto dell’innovazione fra i valori chiave dell’organizzazione.
Si potrebbe obiettare che sono anni che i direttori generali parlano d’innovazione, che è rarissimo trovare una strategia aziendale nella quale non sia presente l’innovazione come una delle chiavi del successo del presente e del futuro.
Queste forme di management sono del tutto insufficienti. Una parola d’ordine diviene un valore quando è provato che le persone che l’hanno lanciata vi credono, cioè quando conformano il loro comportamento alle parole.
In altri termini, l’innovazione diviene un valore-chiave dell’organizzazione quando gli innovatori sono riconosciuti e premiati.

Dal momento in cui non solo si permette loro d’assumersi dei rischi, di commettere degli errori, d’uscire dai sentieri battuti, ma anche li si presenta agli altri come dei modelli e non come dei marginali la cui utilità costringe a sopportarne l’eccentricità. Così l’innovazione diventa essa stessa una delle funzioni normali.

APRIRSI AL MONDO ATTRAVERSO LA CREATIVITA'

Il presidente dì una società ha dichiarato recentemente in un’intervista “ Chi non ha ambizioni europee, non ha affatto ambizioni”.
Questa frase sembra eccessivamente limitativa, poiché l’Europa non è che una parte del mondo, aperta al resto del mondo. La dimensione internazionale fa parte della nostra vita quotidiana e sarebbe difficile trovare una casa in Italia in cui non vi siano prodotti provenienti da tre, quattro o più paesi diversi.
L’irruzione del mondo nella vita quotidiana non è ancora stata pienamente integrata nella vita dell’impresa e tuttavia questa è una necessità, e non solo per quanti si occupano di strategie a medio e lungo termine.

Mettersi all’unisono con le culture dell’universo è un compito reso possibile dalla creatività. In effetti, essere creativo è saper comunicare con l’altro, cominciando dall’altro e continuando col nostro collega, il nostro collaboratore.
Essere creativo è essere capace di sintonizzarsi con gli altri e, per passaggi successivi, con lo straniero. Arrivare a questa flessibilità mentale, in questo modo d’operare non più lineare e sequenziale, ma multiplo e sincrono, è la sfida che dobbiamo vincere e che affronteremo con un piacere crescente dal momento in cui accetteremo d’usare una parte più grande delle risorse del nostro cervello.
Con lo sviluppo dell’acutezza della percezione, con il superamento dei pregiudizi che rinforzano l’etnocentrismo di ciascuna delle vecchie nazioni europee, con il rispetto a priori verso tutto ciò che è nuovo e diverso, nasce un uomo nuovo che, pur riaffermando la sua cultura nazionale o regionale, sa non soltanto accettare e rispettare la cultura degli altri, ma anche trovare in essa una sorgente d’arricchimento infinita.
Inoltre, la capacità di riferirsi alle culture del passato e del presente per creare quelle del futuro è un rimedio praticamente insostituibile per diminuire lo stress dell’uomo moderno.

UN NUOVO STILE DI DIREZIONE

L’introduzione della creatività nelle organizzazioni è strettamente collegata ad un nuovo stile di direzione. I numerosi libri usciti recentemente su questo argomento hanno in comune quello che è definita la piramide rovesciata.
In altre parole, lo schema gerarchico classico che prevede al vertice un uomo accreditato del possesso della conoscenza, che dà ordini, ritrasmessi dagli ingranaggi della gerarchia alla base che deve eseguirli, è superato o in via di rapido superamento anche nelle organizzazioni più tradizionali.
Nelle nuove organizzazioni oggi è attuato il management matriciale, modello direzionale in cui un numero sempre maggiore di persone è collegato a due poli d’influenza, uno gerarchico, l’altro funzionale. Domani si andrà verso un management multipolare.
Oltre al collegamento ai due poli sopra citati, tutti i quadri apparterranno a gruppi-progetto di durata più o meno lunga, gruppi-progetto multi-disciplinari cui sarà affidata una missione da compiere, con delle risorse tecniche, intellettuali e di tempo.

DALL’ADESIONE ALLA PARTECIPAZIONE

I dirigenti non sono preparati a questo stile di comando. Sono coscienti del fatto che il modo classico di dare ordini sia ormai obsoleto, ma non hanno ancora imparato a dare istruzioni in modo che, da un lato, i loro orientamenti siano capiti perfettamente e, dall’altro, incontrino più che un’adesione, una partecipazione da parte delle persone che le ricevono.
Il dirigente, oggi, deve quindi diventare un vero animatore, deve dare l’incitamento e l’orientamento per stimolare l’intelligenza, la creatività e l’energia dei collaboratori perché questi usino le loro risorse e le focalizzino nella direzione corretta.
Tipico questo, dell’opera creativa.

Nelle nuove regole del gioco, il dirigente dà i riferimenti di base ed indica i criteri di riuscita. I collaboratori mettono le sue indicazioni a fronte delle loro intuizioni, usano le proprie risorse, la competenza e l’immaginazione, individualmente ed in gruppo, per proporre e in seguito realizzare idee nuove pertinenti ed efficaci.

DIVENTARE ANIMATORI CREATIVI


La necessità del dirigente, di diventare un animatore creativo, viene incontro ad un’esigenza crescente del personale di non essere ridotto al semplice ruolo d’esecutore.
Questo vuol dire che i collaboratori debbono poter dare, il più sovente possibile, un contributo alla definizione dei compiti e dei processi che vengono loro proposti. Per evitare tanto la frustrazione che la ribellione scoperta o larvata, è importante che il dirigente definisca una regola del gioco e trasmetta ai collaboratori degli stru-menti mentali che permettano loro di praticarla; ciò che si vede già realizzare in alcune organizzazioni di punta.
Allora, come aiutare il dirigente o il responsabile ad interpretare questo ruolo?

LA CREATIVITA’, UN NUOVO DISCORSO SUL METODO

I responsabili dovranno imparare una griglia di lettu-ra del comportamento umano, facendo loro prendere coscienza del fatto che la pura razionalità porta all’irrazionalità.
L’essere umano non è solo l’emisfero sinistro del cervello totalmente dedicato alla raccolta obiettiva dei fatti e alla loro interpretazioni deduttiva, ma anche quello destro della sensibilità, delle emozioni. Inoltre, l’individuo, ogni individuo ha anche dei valori.
Il risultato è lo stesso processo del pensiero, il frutto di un’interazione fra le varie parti dell’Io. Il dirigente e i responsabili hanno interesse a conoscere, per capire, il proprio funzionamento e quello altrui.
Hanno anche bisogno di scoprire la complessità e la ricchezza della comunicazione, di trovare le fonti dell’energia umana ed i mezzi per evitare di bloccarla o dilapidarla, e le tecniche o gli atteggiamenti che possono liberarla e svilupparla.
Occorre inoltre che diventi un modello coerente.
In conclusione, l’idea chiave per un nuovo stile d’anima-zione passa attraverso l’importanza accordata da chi ha responsabilità di dirigere alla instaurazione di condizioni atte a facilitare il ricorso alla creatività per tutti e sempre.
Questo è il prezzo che le organizzazioni degli anni 2000 devono pagare per diventare più innovatrici.
Innanzi tutto, consigliare al dirigente e ai responsabili d’impegnare la propria responsabilità personale, sapendo che un comportamento innovativo non si presenta spontaneamente e che occorrerà che egli incoraggi con parole ed azioni i comportamenti creativi dei subordinati.
Si dovranno riconoscere le differenze individuali e discernere i potenziali di ciascuno per far loro comprendere i compiti e gli obiet-tivi da raggiungere.
Questo farà si che possa promuovere la responsabilità individuale e la maturità di ognuno.
Se le persone hanno l’impressione di non avere o di avere poco controllo sul loro ambiente, sviluppano dei comportamenti passivi, conformisti ed immaturi.
I responsabili dovranno assicurarsi che le idee innovative siano tra-smesse al livello più alto possibile e non dovranno trascurare i feedback., ponendo degli obiettivi ragionevolmente impegnativi, dando dei compiti che stimolino il sentimento di crescita personale e professionale delle persone con cui lavorano. La nozione di realizzazione è molto importante.


I responsabili dovranno anche instaurare un atteggiamento sano di fronte all’insuccesso, e considerare quest’ultimo come un’occasione d’apprendimento.

LAVORO E FORMAZIONE

Il dilemma, oggi, è crescere culturalmente o perire. Questo vale anche per le organizzazioni.
Stiamo uscendo da un mito che ci è già costato molto caro, cioè che la formazione e l’educazione siano qualcosa che riguardi l’infanzia e l’adolescenza e che l’adulto, nel senso proprio del termine, significhi essere arrivati al termine della crescita.
Le grandi scuole ed i diplomi non hanno fatto altro che rinforzare questo mito ed ancor oggi non è raro incontrare dei dirigenti o dei responsabili che ritengono che l’iscriversi ad un seminario di formazione corrisponda a confessare la loro imperfezione.
La nozione di formazione permanente è stata inizialmente sviluppata per gli altri. Il suo sviluppo esponenziale è una cosa buona, e non soltanto per gli istituti di formazione. Ma al tempo stesso, appaiono i limiti: la quantità delle nuove conoscenze da acquisire per combattere ciò che è stato definito l’esplosione dell’ignoranza, la necessità d’apprendere le tecniche di direzione, d’aggiornarle e completarle, fa sì che alcuni futurologi abbiano già previsto la data in cui ogni quadro dell’organizzazione passerà più tempo a formarsi che a produrre. Cosa evidentemente inaccettabile, ma che sarebbe anche inefficace.

La formazione, come è concepita e praticata oggi, si iscrive in uno schema sequenziale di tipo tayloristico: Lavoro o mi formo.
Il seminario si presenta in questo contesto come la parentesi pedagogica in cui ci si ricarica prima di ritornare ai compiti produttivi.
Sicuramente questa parentesi è estremamente utile e resterà indispensabile per ottenere de-terminati effetti di trasformazione rapidi e intensi, al contempo si vede l’opportunità ed anche la necessità di non creare una frattura netta fra il momento in cui si impara e quello in cui si agisce.
Nella realtà, in una normale settimana di lavoro, si hanno numerose occasioni d’apprendere. Ne cogliamo qualcuna e lasciamo sfuggire le altre: donde il concetto nuovo di formazione permanente.

Il semplice mantenimento del nostro organismo in buone condizioni di funzionamento è una conseguenza dell’apprendimento costante. Studi neurofisiologici recenti hanno mostrato che lo stato di equilibrio non esiste. O ci sviluppiamo e cresciamo, o ci restringiamo e ci raggrinziamo, in poche parole invecchiamo.

REINVENTARE IL LAVORO ATTRAVERSO LA CREATIVITA’ E IL PIACERE

Il termine recworking è stato inventato nel corso di un congresso internazionale di sociologia del lavoro, partendo da recreation e da work. I partecipanti sono arrivati all’unanime conclusione che, domani, la parte essenziale del lavoro sarà svolta da macchine e robot; la parte propriamente umana del lavoro non potrà essere assunta se non comporterà un contenuto intrinseco di gioco, di divertimento e di piacere. Non si è ancora trovata una traduzione che restituisca bene l’idea del termine reckworking: lavogodere è un equivalente accettabile ma non interamente soddisfacente. Si può anche immaginare la parola ricrea-lavoro o ancora giocavare.

Si potrebbero distinguere tre epoche nella relazione uomo-lavoro.

• la prima epoca era quella del dovere, lavorare era un obbligo non solo di sopravvivenza, ma anche morale, che conferiva a chi lo compiva rispettabilità e perfino una certa santità;
• la seconda epoca ha visto prevalere il regime del contratto: l’individuo scambiava talento e competenza in cambio di uno status e di una retribuzione. I vecchi valori d’identificazione con l’azienda, gli straordinari e le pratiche da portarsi a casa nei fine settimana, apparivano come cose del tempo andato;
• la terza epoca corrisponde alla crisi economica e all’irresistibile ascesa del Giappone, che hanno determinato una riscoperta dei valori, contrapposta da una fortissima esigenza di realizzarsi attraverso il lavoro.

Non si tratta, in realtà, di un semplice piacere edonistico di consumo, ma di un piacere legittimato dal suo allineamento con i valori dell’organizzazione.

L’UMANESIMO IN AZIENDA

In un mondo che cambia rapidamente facendo saltare punti di riferimento validi, si avverte la necessità di riscoprire quei valori che costituiscono, da sempre, una certezza nella vita di tutti i giorni. La rivalutazione della sfera personale e intima è la cosa più utile da farsi e questo, per quanto riguarda il mondo delle aziende, s’identifica nel cosiddetto Umanesimo aziendale?

Il patrimonio di un’azienda è, ovviamente, anche costituito principalmente da quelle persone che decidono di impegnarsi, di condividere e fare propria la visione aziendale e di mettersi in gioco.
Mansionari, job description e quant’altro portano spesso i dipendenti di un’azienda a sentirsi poco motivati e considerati.

L’Umanesimo aziendale spinge verso la definizione di nuovi sistemi in grado di dare peso e valore non soltanto al lato economico, ma anche ad altre variabili quali l’ambiente di lavoro, il clima aziendale, lo sviluppo del personale e la qualità della vita.
I collaboratori in azienda hanno bisogno di sentirsi realizzati, di sfide e riconoscimenti del loro contributo. Non si è più alla ricerca di paghe oneste per oneste giornate di lavoro, ma si ambisce piuttosto a opportunità che consentano di trascorrere giornate di lavoro eccezionali.

Dr. EMANUELE TINTO

mercoledì 16 febbraio 2011

un po di cultura Giapponese

NEMAWASHI
(根回し)
nella cultura giapponese è quel processo informale che silenziosamente sostiene le fondamenta di qualche cambiamento o progetto pianificato, parlando con le persone che se ne occupano, dando loro supporto e consigli, in maniera continuativa. È considerato un elemento importante in ogni grande cambiamento prima che ogni passo formale venga effettuato, ed il nemawashi di successo permette cambiamenti effettuati con il consenso di tutte le parti.
Nemawashi letteralmente si traduce con "lavorare attorno alle radici", dalle parole 根 (ne, radice) e 回す (mawasu, muoversi intorno [qualcosa]). Il suo significato originale era letterale: scavare attorno alle radici di un albero, prepararlo ad essere trapiantato.
Il Nemawashi è spesso citato come un esempio di una parola giapponese difficile da tradurre efficacemente, perché strettamente correlata a quella cultura.

HANSEI
Hansei (反省 – auto-riflessione) è una delle idee centrali della cultura giapponese. Il suo significato è quello di riconoscere i propri errori, riflettere su di essi e di cercare il miglioramento da essi.
Hansei significa anche festeggiare il successo con modestia ed umiltà. Se il hansei si ferma, si ferma anche l’apprendimento. Uno che pratica hansei non diventa mai convinto della propria superiorità in quanto pensa che ci sia sempre lo spazio per ulteriori miglioramenti.

KAIZEN
l Kaizen (改善) è una metodologia giapponese di miglioramento continuo, passo a passo, che coinvolge l'intera struttura aziendale. Il termine Kaizen, infatti, è la composizione di due termini giapponesi: KAI (cambiamento) e ZEN (meglio)
si basa sul principio che detta le fondamenta di questa 'filosofia': "L'energia viene dal basso", ovvero sulla comprensione che il risultato in un'impresa non viene raggiunto dal management, ma dal lavoro diretto sul prodotto. Il management assume dunque una nuova funzione, non tanto legato alla gestione gerarchica quanto al supporto dei diretti coinvolti nella produzione.

venerdì 11 febbraio 2011

L'immagine, il marchio, l'identità d'impresa

L'immagine, il marchio, l'identità d'impresa

Ogni impresa nel proprio funzionamento tesse in modo continuato e durevole una "ragnatela" indissolubile ed interdipendente tra le cose che si toccano e le cose che non si toccano.
Possiamo assimilare in modo figurato l'impresa ad un villaggio costituito da un insieme di case intorno al campanile con la chiesa ed il municipio, le strade ed i campi, ma altrettanto ad una misura più radicata, quali i valori, le tradizioni ed i costumi che nel corso del tempo sono maturati nei componenti del villaggio; L'impresa appunto.
I rapporti tra "gli attori dell'impresa" nella gestione del lavoro (dei beni e degli affetti) evolvono sulla base dei valori reali definiti dal LEADER attraverso l'esempio, la definizione ed il rispetto della missione e della visione aziendale quali riferimenti cardine per lo svolgimento di tutte le attività dell'impresa.
Se accettiamo la definizione di "immagine" quale forma esteriore percepita degli oggetti attraverso il senso "soggettivo" della vista ed il "marchio" un segno o simbolo specifico - originale che distingue un prodotto o servizio realizzato dall'impresa per distinguerlo da altri simili, possiamo comprendere che la lettura combinata di entrambe definisce "l'identità" percepita dell'impresa.
L'immagine che si identifica nel marchio si costruisce attraverso azioni, atteggiamenti e comportamenti nella filiera "impresa - mercato" che ne "legge -percepisce" l'identità specifica; L'immagine di fatto è il "manifesto" col quale l'impresa trasmette al mercato il proprio "carattere" attraverso l'impegno del rispetto dei valori nell'ambito della propria missione.
E' necessario che gli attori dell'impresa abbiano la volontà e la possibiltà di verificare periodicamente (con onesta consapevolezza) che i comportamenti e le azioni siano coerenti con gli obiettivi definiti; Nel caso si dovranno applicare i necessari correttivi per il mantenimento della rotta.
Come si esegue la verifica? Semplicemente analizzando con serenità ed onestà i comportamenti e le azioni verso il mercato e verso l'impresa stessa domandandosi se quanto sta avvenendo soddisfa le aspettative del mercato - cliente (cercando di immedesimarci nello stesso cliente - mercato)
Qualche mese fa, visitando un'importante costruttore Italiano di auto sportive, ci eravamo domandati perchè nel settore lavorazioni meccaniche dei componenti motore , fossero esposte delle vetture costruite dallo stesso costruttore; Alla nostra domanda i manager aziendali ci hanno risposto che gli addetti che lavorano in questo settore non hanno la possibilità di vedere il prodotto finito uscire dalla linea di montaggio ed è quindi necessario che queste persone siano consapevol i che quanto si produce è un componente importante del prodotto consolidando di fatto il senso di appartenenza all'azienda .
Il marchio generalmente costituito da un'icona o un immagine grafica con colori specifici, deve riproporsi in modo trasversale - percettivo e ripetitivo attraverso l'uso coerente dei colori, della grafica (stile - caratteri - font ecc.) sia all'interno che all'esterno dell'azienda identificando e richiamando continuamente un immagine aziendale positiva; L'uso ripetuto dei colori aziendali, del marchio e della grafica è quanto di più immediato si possa utilizzare per rinnovare il senso di appartenenza all'azienda riconoscendosi parte attiva, positiva e distintiva di se stessi nell'ambito globale aziendale.
Sopratutto nelle manifestazioni fieristiche, nella documentazione illustrativa, nei documenti amministrativi (carta intestata - biglietti da visita ecc.) è molto importante riproporre marchi e colori al fine confermare l'immagine specifica e distintiva dell'azienda
Per meglio gestire l'uso dell'immagine grafica è utile raccogliere tutte le informazioni (RAL / pantone dei colori - Font dei caratteri componenti il marchio e le scritte - combinazione nell' uso dei colori- proporzioni dimensionali ecc.) in un "MANUALE GRAFICO" che dev'essere continuamente consultato ed aggiornato con l'inserimento di studi - fotografie e quant'altro riguardi l'evoluzione dell'immagine aziendale.

mercoledì 12 gennaio 2011

COME RIDURRE GLI SPRECHI

COME RIDURRE GLI SPRECHI


Questo Corso vuole fare emergere quali sono quali sono i principali sprechi all’interno dell’azienda e come poterli affrontare, trasformandoli in attività di valore.

Nelle nostre giornate lavorative non ci rendiamo spesso conto di quanto possono essere gli sprechi che ogni giorno, regolarmente andiamo a creare, alcuni studi dichiarano che in Aziende che possiamo definire “tradizionali” le attività di NON VALORE in area produzione rappresentano il 60% delle attività, si parla fondamentalmente di attività che possono essere trasformate in tempi brevi, il 35% necessità di tempi più lunghi per il miglioramento e quindi possiamo constatare che solamente il 5% delle attività genera VALORE.
Se ci addentriamo nella attività d’ufficio, scopriamo che solamente l’1% genera VALORE mentre il 49% si riferisce ad attività che NON GENERANO VALORE, ma che possono essere implementate in breve tempo, mentre l’altro 50% si riferisce ad attività di NON VALORE AGGIUNTO, che però possono essere eliminate in tempi più lunghi.

Sulla base di quanto sopra indicato, andiamo a sviluppare una serie di punti che ci aiuteranno ad affrontare la guerra agli sprechi in maniera vincente, evidenziando tutto ciò che NON crea Valore, trasformandolo in VALORE

1. Basate le vostre decisioni di gestione per la filosofia a lungo termine, anche a scapito degli obiettivi finanziari a breve termine

Lo scopo comune più grande è sempre quello di realizzare denaro, nel minor tempo possibile, le aziende di fatto nascono per generare soldi, creando così la possibilità di investire e continuare a crescere nel tempo, mantenendo o ancor meglio aumentando la propria posizione

Per prima cosa di ogni società bisogna comprenderne la storia e lo scopo, gli obiettivi che di volta in volta vengono fissati, ma la cosa fondamentale per ogni Azienda è la generazione di valore per i nostri clienti, per la società e per l’economia stessa; è per questo che tutti i nostri sforzi devono essere concentrati per il raggiungimento di tali valori.



2. Crea il continuo flusso di processo per portare i problemi alla superficie

Ogni processo di lavoro deve essere riprogettato per eliminare gli sprechi (muda) attraverso il processo di miglioramento continuo - Kaizen.
Solo attraverso il Kaizen e una corretta riprogettazione possiamo sviluppare processi ad alto valore aggiunto, eliminando tutte quelle attività inattive e che non producono valore.

Dobbiamo quindi concentrarci sulla creazione di una connessione dei seguenti flussi:

Flusso dei prodotti
Flusso di attrezzature
Flusso delle forniture
Flusso di informazioni
Flusso di materiale
Flusso di ingegneria

Un connessione rapida e semplice ci permette avere così un flusso chiaro e visibile da tutti, sia dal personale interno che da personale esterno.
Idealmente chiunque entri nella nostra azienda deve essere in grado di comprendere in un semplice colpo d’occhio, dove si muove il materiale la sua destinazione, le attività delle persone e, cosa ancora più importante i loro obiettivi.

Se vogliamo poter raggiungere questo risultato è necessario partire dell’eliminazione dei 7 principali sprechi, o come vengono definiti in Giappone, MUDA, qui sotto elencati:

1. Sovrapproduzione
a. Produrre più di quanto necessario dal processo successivo,
2. Attesa
a. Eliminare i tempi di fermo da parte di macchine e operatori
3. Trasporto
a. Continuare a movimentare il materiale senza assegnare una destinazione chiara
4. Lavorazione
a. Eseguire lavorazioni non necessarie, o non richieste; RI-lavorazioni dovute ad errori o dimenticanze
5. L'eccesso di inventario
a. Mantenere il magazzino con valori molto elevati, e avere un numero di rotazione basso in relazione al costo del venduto
6. Movimenti Inutili
a. Fare svolgere dal personale, produttivo o amministrativo, movimenti non necessari e che generano perdita di tempo e aumento della fatica
7. Difetti
a. Creare prodotti difettosi

Ognuno dei MUDA sopra indicati può avere un peso determinante sul risultato finale di un’azienda, in funzione del tipo di attività preso in esame ad ogni singolo elemento dovrà essere assegnato un valore che ne indicherà la priorità di intervento.

IL MIGLIORAMENTO AVVIENE SOLAMENTE ATTRAVERSO UNA RIDUZIONE DELLO SPRECO

3. utilizzare il sistema PULL per ridurre le sovrapproduzioni

Attraverso il sistema PULL, si possono evitare sovrapproduzioni inutili Minimizzando il WIP (lavoro di processo) e l'inventario di magazzino con un sistema di riassortimento frequente

In una gestione rigorosamente pull, l'ingresso dei prodotti in produzione non è anticipato rispetto agli ordini; la produzione è regolata da valle del processo produttivo. In un sistema di tipo PULL i materiali vengono tirati dentro la fabbrica dagli ordini presenti in portafoglio; ciò è possibile in quanto tali ordini coprono il tempo di attraversamento di produzione e approvvigionamento. Viceversa in un sistema push è necessario anticipare l’ingresso dei materiali in fabbrica e gli ordini di lavorazione perché il tempo di attraversamento è più lungo dell’orizzonte del portafoglio ordini. Sistemi pull "puri" sono molto rari nelle tipologie produttive manifatturiere e prevalgono invece le situazioni in cui il portafoglio ordini è completato da previsioni di vendita, almeno nella parte iniziale (push-pull).
Un sistema pull è governato interamente da ordini e dunque sembra non necessitare di previsioni. Ciò in realtà è vero solo per i prodotti, però occorre pianificare impianti e forza lavoro, risorse cioè che definiscono la capacità produttiva di un processo. Anche queste devono essere approvvigionate con l’anticipo sufficiente a renderle disponibili al momento dell’utilizzo.

l’obiettivo è di poter giorno per giorno alla domanda, ordine oggi consegna domani.

4. Bilanciare il Carico di Lavoro

Heijunka (平準化) è il termine giapponese che indica il livellamento della produzione. E' una tecnica per prevenire lo spreco di Mura ed è di vitale importanza nelle aziende lean. L'idea generale è di produrre i beni nei processi a monte a un ritmo costante, per permettere lo stesso ritmo costante e prevedibile anche alle operazioni a valle. Tenendo un piccolo inventario di prodotto finito alla fine del processo produttivo, può essere livellata la domanda per l'intera produzione e anche per i fornitori,rendendo così più efficace utilizzo delle risorse lungo l'intero flusso di valore soddisfacendo al contempo i requisiti del cliente
Idealmente la produzione può essere livellata facilmente se la domanda è costante, ma nel mondo reale questa domanda è variabile e vengono adottati due approcci per affrontarla: Livellamento della produzione attraverso produzione flessibile e Livellamento della domanda.

Livellamento della produzione
Livellamento della produzione può essere riferito al livellamento per volume o livellamento per tipo prodotto o mix di prodotto.

Per volume:
Supponiamo di avere una domanda variabile tra 80 e 120 pezzi. Potrebbe sembrare sensato
produrre esattamente su domanda. Questo approccio però dice di produrre secondo la media della domanda a lungo termine e di tenere un inventario proporzionale alla variabilità nella domanda, stabilità del processo produttivo e la frequenza delle consegne. Nel nostro esempio, se il processo è affidabile al 100% e abbiamo una consegna a settimana, allora la produzione sarebbe di 100 pezzi con inventario minimo standard di 20 pezzi all'inizio della settimana e di 120 pezzi al momento della consegna. Il vantaggio del portare questo inventario è che riesce a livellare la produzione nell'intera produzione e ridurre gli inventari WIP.


Per tipo di prodotto (mix):
Maggior parte delle produzioni hanno un mix di prodotti e quindi devono determinare la sequenza di produzione. L'approccio lean è di ridurre i tempi di setup delle produzioni ( metodo SMED) in modo tale che possano venir prodotti (e non siano proibitivi in termini di costi) lotti sempre più piccoli di ogni prodotto, quasi annullando il significato del tempo produttivo e costi persi. Questo significa che la domanda per i pezzi può essere livellata per i sottoprocessi a monte e quindi il lead time e inventari totali si riducono lungo il flusso di valore. Per semplificare il livellamento di prodotti con diversi livelli di domanda si usa spesso il cosiddetto heijunka box (scatola heijunka), un tabellone per controllo visuale, che potete vedere nell'immagine introduttiva dell'articolo. In un tipico box heijunka ogni riga orizzontale rappresenta un prodotto, mentre ogni colonna verticale rappresenta gli identici
intervalli di tempo nei quali ritirare il cartellino kanban. Il cartellino kanban negli scomparti
rappresenta un pitch di produzione per un determinato tipo di prodotto (pitch è il takt time
moltiplicato per la quantità del prodotto che viene messa in un imballo). Usato come
nell'illustrazione, il heijunka box livella costantemente la domanda in brevi incrementi di tempo(anziché rilasciare il programma per turno, giorno o settimana...) e livella la domanda per mix del prodotto (ad esempio, assicurando che i prodotti D ed E vengano prodotti con un ritmo costante e inlotti piccoli).

Con riguardo al livellamento della produzione per tipo di prodotto, supponiamo che offriamo al pubblico 4 modelli di prodotto, A, B, C e D e che la domanda settimanale sia di 50 per A, 30 per B, 20 per C e D. Un produttore di massa (tradizionale), cercando le economie di scala e desiderando minimizzare l'effetto dei tempi di setup tra i vari prodotti, probabilmente avrebbe prodotto settimanalmente con la sequenza 10A-10A-10A-10A-10A-10B-10B-10B-10C-10C-10D-10D.
Un produttore lean, in aggiunta ai benefici descritti sopra dell'effetto di inviare lotti grandi e
infrequenti di ordini verso i fornitori a monte, si sarebbe impegnato a produrre nella sequenza ripetibile 10A-10A-10B-10C-10D-10A-10A-10B-10C-10D-10A-10B, migliorando il proprio sistema attraverso la riduzione dei tempi di setup. E questa sequenza sarebbe periodicamente aggiustata in funzione dei cambiamenti negli ordini (nella domanda) del cliente.

Livellamento della domanda
Livellamento della domanda è la deliberata influenza della domanda stessa o dei processi che la definiscono con lo scopo di ottenere uno schema più prevedibile della domanda del cliente. Parte di questo influenzare arriva attraverso la manipolazione dell'offerta del prodotto, parte influenzando il processo di ordini e parte rivelando la variabilità indotta dalla amplificazione della domanda o degli schemi di acquisto. Non include le attività di influenza progettate per liberarsi di stock esistenti. Di solito il livellamento della domanda viene causato dagli artefatti nei processi di vendita e ordine e non dall'analisi del passato. Ciò significa che i tempi dell'intera supply chain devono essere ridotti:
dove i tempi di costruzione-consegna reali possono avere lo stesso ordine di grandezza delle attese del cliente, allora lo sforzo di pianificazione potrebbe avere successo. In questo caso una produzione affidabile garantisce bassi livelli di stock (o nessun stock) e ciò non andrà ad interferire con la soddisfazione dei clienti. Inoltre vanno a sparire gli incentivi di vendere ciò che è stato prodotto e immagazzinato...
Nel caso contrario, se la costruzione-consegna è più lunga del tempo che il cliente è pronto ad
aspettare, si corre il rischio di sbagliare le previsioni e di ritrovarsi con livelli di stock inaccettabili...
Se la domanda segue uno schema prevedibile (piatto o anche stagionale), ci si può accordare di avere le consegne che seguono questo stesso o simile schema, ottimizzando gli inventari e i processi produttivi.

Conclusione

La stabilità è uno dei pilastri portanti del sistema. Senza la stabilità e senza le procedure definite e standardizzate non si può riuscire ad avere un sistema funzionante. E il heijunka è lo strumento da utilizzare per raggiungerla. Quindi usatelo con testa e con obiettivo da raggiungere ben chiaro in mente.



5 . Costruire una cultura di fermarsi a risolvere i problemi, per ottenere il diritto di qualità immediatamente


La qualità ha la precedenza (Jidoka). Qualsiasi dipendente di una Azienda cosiddetta SNELLA (LEAN) ha l'autorità per arrestare il processo di segnalare una questione di qualità.

il termine Toyota "Jido" è applicato ad una macchina con un dispositivo incorporato per dare giudizi, mentre il normale termine giapponese "Jido" (automazione) è semplicemente applicato ad una macchina che si muove per conto proprio. Jidoka fa riferimento a "automazione con un tocco umano", in opposizione ad una macchina che si muove semplicemente sotto il controllo e la supervisione di un operatore.
Dal momento che la macchina si ferma , quando un problema è sorto, nessun danno, nessun prodotto difettoso è stato prodotto. Questo significa che un singolo operatore potrebbe essere messo a capo di numerose macchine, con un conseguente enorme miglioramento della produttività.

Fondamentale è ottenere qualità richiesta dai nostri clienti con la prima produzione senza dove effettuare rilavorazioni
- Utilizzare tutti i moderni metodi di assicurazione della Qualità
- Costruire la capacità di rilevare i problemi (e arrestare il processo)
- il "Jidoka" è un Sistema di identificazione visiva da parte delle macchine nel momento in cui non viene prodotta la qualità necessaria

Zero controllo di qualità - La qualità deve essere nel prodotto e nel processo

Ognuno è responsabile di controllare gli aspetti critici della qualità prima che un processo abbia inizio;
Ognuno è responsabile di controllare il proprio lavoro dopo un operazione o manovra è stata completata, e se le primie due ispezioni non assicurano un livello sufficientemente elevato di qualità o di sicurezza, si ricorre ai controlli di origine.

6. Attività e processi standardizzati sono la base per il miglioramento continuo e la responsabilizzazione dei dipendenti


Più mi trovo a visitare aziende e più mi rendo conto di quanto profondamente carente la maggior parte di loro sono nel settore delle norme e procedure documentate, per non parlare del lavoro standard. Come uno dei capisaldi del Toyota Production System, standard di lavoro (anche lavoro standardizzato) è molto differente dagli standard di normalizzazione o di lavoro. Standard di lavoro è una cosa molto esigente. Essa è tipicamente rappresentato su un foglio di lavoro standard che mostra il layout, il flusso di materiale, delle persone e degli inventari, nonché i punti di controllo qualità e sicurezza, e il modulo di combinazioni standard contenente i tempi e le attività per una persona per completare un ciclo di lavoro a livello manuale, a piedi, e i tempi di attesa.

La definizione di standard di lavoro è "la combinazione più efficace di risorse umane, materiali e macchinari". Lavoro standard è il metodo, e quindi si ha le quattro M riguardanti la produzione (manodopera, materiali, macchine, metodi). Lo Standard di lavoro è "la soluzione più efficace" fino a quando lo standard è migliorato. Questo viene fatto attraverso il continuo processo di miglioramento kaizen.

Ci sono tre elementi di standard di lavoro per un processo per fasi. Essi sono: 1) tempo takt, 2) sequenza di lavoro e 3) lavoro standard in corso. Per un processo che non si ripete o è troppo variabile potrebbe non essere possibile stabilire standard di lavoro in base a queste condizioni (tempo takt non è significativo, sequenza di lavoro varia, Standard WIP varia). In questo caso, è necessario eliminare la variabilità o standardizzare il processo e creare un flusso ripetitivo, o applicare altre soluzioni possibili, questo sempre attraverso un approccio kaizen.

In definitiva tutto il lavoro che fate è lo stesso, e quando si capisce questo Zen profondo di Lean tutto il resto che fai sarà molto più semplice.

I due requisiti per lavorare in un vero e proprio Lean Enterprise sono: 1) seguire il lavoro standard, e 2) trovare un modo migliore. Ci deve essere qualcosa di più che e avete ragione, per la maggior parte di noi che la mancanza di lavoro standard non è il, punto di partenza. In primo luogo dobbiamo stabilire degli standard, poi abbiamo bisogno di formare le persone a questi standard e infine abbiamo bisogno di rivedere e verificare che queste norme siano rispettate.

responsabilizzazione dei dipendenti = radicale decentramento


7. Utilizzare il controllo visivo in modo che i problemi non si possano nascondere


Nessun problema deve essere nascosto, ecco la ragione per la quale è necessario creare degli standard di misurazione per poter mantenere la situazione sotto controllo

Per meglio raggiungere l’obiettivo, sarà importante l’utilizzo del Programma 5S - passi che vengono utilizzati per rendere tutti gli spazi di lavoro efficienti e produttivi, aiutare le persone a lavorare in un ambiente sicuro, ridurre i tempi di ricerca di strumenti necessari e migliorare l'ambiente di lavoro.

Eliminare gli elementi non necessari
Mettere in ordine: un posto per ogni cosa ogni cosa al suo posto
Pulire: tenere l'area pulita
Standardizzare: Creare regole e le procedure operative standard
Sostenere: mantenere il sistema e continuare a migliorarlo

Applicando quindi un sistema di Visual management andremo a promuovere lo sviluppo di una attività più sicura, più efficiente e con meno processi dispendiosi. L'obiettivo nell'utilizzo di visual management è quello di creare "status a colpo d'occhio". Questo significa che un ambiente operativo in cui le condizioni di funzionamento normale vs anormale possono essere rilevate facilmente e rapidamente.

Strumenti di gestione visivi sono utilizzati per:
• Fornire stato in sintesi, che consente il rilevamento rapido e semplice delle condizioni di funzionamento anomalo
• Fornire strumenti visivi per aiutare i dipendenti a completare le attività in modo più rapido e in un approccio più standardizzato

Gestione Visual crea un ambiente standardizzato di lavoro, fornendo istruzioni, direzioni, promemoria, ecc, su come il lavoro deve essere fatto. Ci sono infinite possibilità di applicazione di gestione visiva.

La chiave è trovare modi creativi per applicare la gestione visiva per ridurre gli sprechi delle attività, delle connessioni e dei flussi

8. Utilizzare sono tecnologie testate e affidabili, che servano le vostre persone e I vostri processi

La tecnologia è trainata dalla produzione, non è spinta dalla produzione; è necessario che la tecnologia venga utilizzata per sostenere le persone (non di sostituirsi ad esse)
Prima di investire in nuove tecnologie sarà importante chiedersi: “quale è il mio obiettivo?”

La filosofia Lean di base afferma che bisogna utilizzare macchine “vecchie” e lente ma in grado di rispettare il “takt” di produzione, e dedicate al processo produttive piuttosto che grandi macchinari complessi, che asservono più linee.



Nella realtà dei fatti, i fattori che definiscono il tipo di tipologia da applicare sono diversi, quello che possiamo legare alla filosofia lean, e lo stesso kaizen insegna è di procedere sempre a piccoli passi, meglio il 50% oggi che il 90% domani.

Ricordarsi sempre di misurare i valori odierni, verificare i risultai che si possono ottenere con il nuovo investimento, il carico di lavoro previsto inizialmente, e quindi il tempo di Payback



9. Fate crescere i leader che comprendono a fondo e vivono la filosofia, ed insegnano agli altri


Senza un'attenzione costante, i principi sbiadiscono. I principi devono essere radicati, di deve cambiare il modo in cui si pensa. I dipendenti devono essere istruiti e formati: devono mantenere una rete di apprendimento.

“Vivi la filosofia e insegnare agli altri”
In un approccio LEAN è importante che i leader crescano dall'interno; il Leader non si limita a compiere attività e disporre di competenze persone, ma deve essere un modello di ruolo uno che capisce il lavoro in grande dettaglio ricordandosi di essere sempre un buon insegnante

Un leader LEAN guida:

- dando esempio
-essendo ben informato
- entrando nei dettagli complicati
- facendo domande
- insegnando e formando
- influenzando
- costruendo dei sistemi e processi robusti e sensibili che condividono le responsabilità


10. Sviluppare persone eccezionali e Team che seguano la filosofia dell’azienda

Per poter sviluppare un processo, un elemento fondamentale è creare una cultura forte e stabile in cui i valori e le credenze sono ampiamente condivise da tutte le persone dal Top Management all’ultimo arrivato in Azienda.
Allo stesso tempo una forte cultura condivisa permette di costruire Team di lavoro che collaborano trasversalmente in Azienda, collaborando verso obiettivi condivisi attraverso progetti costruiti in piena collaborazione.
Questa collaborazione ci porta verso un miglioramentodella qualità e della produttività, accelerando il processo di problem solving e di apprendimento organizzativo.




11. Rispettare il tuo network di partners e fornitori, attraverso una sana competizione e aiutandoli a migliorare

Toyota tratta i fornitori di molto simile ai propri dipendenti, spingendo loro a fare meglio e a trovare soluzioni sempre migliori. Toyota fornisce ai fornitori team interfunzionali in modo che insieme possano scoprire e risolvere i problemi con l’obiettivo di diventare ancor più performanti

Di fatto i fornitori sono partner commerciali che partecipano alla sfida aiutandosi a crescere e svilupparsi.

Si va così ad affrontare il concetto di Comakership, è cioè di una strategia rivolta ai fornitori. In primo luogo si tratta di selezionarli e sfoltirli in modo di ridurre il loro numero, attraverso criteri attentamente selezionati.
In un secondo momento si cerca di trasformare i fornitori in partner con i quali operare strategie di acquisto in codesign, riducendo i costi fin dallo studio del prodotto
Se il cliente cerca di creare valore per il fornitore e il fornitore cerca di creare valore per il cliente nasce una collaborazione aperta, si stipulano contratti a lungo termine per rinsaldare i rapporti. Gli obiettivi comuni sono qualità, servizio, innovazione, e costo finalizzati alla condivisione del vantaggio competitivo.
Il lavoro in comune può riguardare il prodotto, il servizio, il processo, allo scopo di realizzare un miglioramento dovuto alle sinergie del collegamento. Da questa iniziativa può nascere una seconda iniziativa, quella dell’impresa a rete. Gli interventi organizzativi vicendevoli e reciproci possono migliorare: le aree operative, i rapporti logistici, la qualità e l’affidabilità, lo sviluppo di nuovi prodotti, i sistemi di supporto (pianificazione), i rapporti contrattuali, il marketing d’acquisto, la valutazione dei fornitori.

12. Andate a vedere di persona per capire a fondo le situzioni (genchi gembutsu)

Da un manager Toyota ci si aspetta che "go-and-see” le operazioni nell’area di competenza. Senza sperimentare di prima mano la situazione, i gestori non avranno una comprensione di come si può migliorare. Inoltre, i manager utilizzano i seguenti principi di gestione :

- Tenere sempre l'obiettivo finale in mente.
- Assegnare Chiaramente i compiti a te stesso e gli altri.
- Pensare e parlare a livello di verifica, i dati sono alla base del miglioramento.
- Sfruttare appieno la saggezza e le esperienze di tutti ,riunirsi e discutere quanto raccolto
- Condividi le informazioni con gli altri in un modo tempestivo.
- Implementare le relazioni, informare e consultare in modo tempestivo tutto il Team
- analizzare e comprendere le carenze nelle vostre capacità in modo misurabile.
- Incessantemente ci si sforza di svolgere attività kaizen.
- Pensare "fuori dagli schemi.
- Siate sempre consapevoli di proteggere la sicurezza e della salute.


13. Prendi le decisioni lentamente e attraverso il consenso, considerando più opzioni; implementa rapidamente le attività

Di seguito sono riportati i parametri di decisione:

- Trova quello che sta realmente accadendo (go-and-see) per testare
- Determina la causa
- Si consideri una vasta gamma di alternative; considerare tutte le opzioni
- Discuti con il Team e se necessario con la Proprietà
- Costruire il consenso sulla risoluzione ("Nemawashi"); raggiungere un accordo
- Utilizzare il sistema A3 per comunicare in modo efficiente
- Attuare rapidamente le decisioni.

14. Diventare un’organizzazione che apprende attraverso la riflessione (hansei) e il miglioramento continuo (kaizen)


Stabilizzare il primo processo, per poi perseguire il miglioramento continuo (kaizen).

L’obiettivo è sviluppare un processo per diventare una organizzazione che apprende, coinvolge e critica ogni aspetto di ciò che si fa, sia che raggiungano risultati positivi che negativi.
Attraverso l’"Hansei" si comprendono le Riflessioni, le lezioni apprese, riuscendo così a trasformare le informazioni in azioni che permettano di correggere gli errori
di seguito ecco alcune attività che dobbiamo applicare giornalmente per diventare un azienda Snella, performante
- Standardizzare le pratiche migliori, attraverso le “lezioni in punto solo”
- Utilzzo del PDCA – Plan, Do, Check, Act
- Utilzzo dei 5 Perché
- Creare piani di breve, medio e lungo termine che coinvolgano l’azienda nella sua interezza
- Chiarire sempre i problemi e applicare immediatamente delle soluzioni radicali
- Standardizzare i processi
- Meglio il 50% oggi che il 90% domani

Passando attraverso i 14 punti sopra descritti e applicandoci con perseveranza, potremo intraprendere il lungo percorso della filosofia LEAN.